Cosa significa conservazione delle specie? Da un lato, è sinonimo, per l’Italia, di un obbligo di legge. L’articolo 17 della Direttiva Habitat – emanata nel 1992, a diversi anni di distanza dalla Direttiva Uccelli – specifica chiaramente che è compito degli Stati membri fornire una valutazione dello stato di conservazione attuale delle specie e degli habitat.

Come dire, che l’obbligo di conservare – vincolante per quelle specie elencate dalle Direttive comunitarie – si traduce anzitutto nell’obbligo di conoscere. Come emerge in molti studi e per non curanza delle istituzioni, sono ancora moltissimi gli aspetti che meritano un approfondimento.

 

 

 

 

 

 

 

 

Questo senza nulla togliere ai notevoli passi avanti compiuti negli ultimi anni, in termini di studi, conoscenze, approfondimenti, sensibilità istituzionale e sensibilità collettiva. Ma se conservare le specie significa anzitutto conoscerle – il che non può prescindere dalla messa a punto di una metodologia standardizzata e scientificamente valida – il passo successivo, nonché parte integrante del concetto di conservazione, è chiedersi quali misure mettere in atto per migliorare lo stato di salute delle popolazioni in difficoltà.

Azioni che possono essere condotte a moltissimi livelli. Il primo è quello istituzionale, che coinvolge non solo gli Stati e i Governi, ma anche quelle associazioni che da anni, a livello mondiale, studiano le problematiche dell’avifauna nonché degli habitat e delle specie diverse dagli uccelli. Da BirdLife International alla IUCN – The World Conservation Union – il valore di questi enti sta appunto nella capacità di operare a livello transnazionale, fungendo da anello di collegamento tra esperti, attivisti, volontari, ma anche istituzioni, impegnate nella messa a punto di azioni e politiche a sostegno dell’avifauna e della biodiversità.

Cosa fa l'Italia - La normativa

Con la ratifica della Convenzione per la Diversità Biologica e l’adesione al Countdown 2010 , l’Italia si è formalmente impegnata ad arrestare il declino della biodiversità. Un’impresa difficile ma urgente, da attuare sotto il profilo sia giuridico sia progettuale.

A livello comunitario sono principalmente due gli strumenti normativi di riferimento: la Direttiva Uccelli del 1979 e la Direttiva Habitat del 1992. Le due Direttive assegnano agli Stati membri un ruolo fondamentale sia nell’attuazione delle previsioni comunitarie e internazionali, sia nel compito di integrarle con elementi sostanziali, a cominciare dall’individuazione e dalla tutela delle ZPS (le Zone di Protezione Speciale) che, insieme ai SIC/ZSC (le Zone Speciali di Conservazione) costituiscono la Rete Natura 2000.

Forte è stato l'impegno dell'Italia, negli ultimi 15-20 anni, per il recepimento e l'applicazione del diritto comunitario e per la parallela costruzione di un proprio quadro normativo in materia di tutela dell'avifauna.

Due, a questo proposito, sono le leggi nazionali di riferimento: la legge 157 dell’11 febbraio 1992 , “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio ”, che appunto tutela la fauna selvatica e regolamenta la caccia, e la legge 394 del 6 dicembre 1991 , cioè la “Legge quadro sulle aree protette ”. A queste va poi aggiunto l’importante gruppo di norme e regolamenti relativi alla Rete Natura 2000, tra cui il Regolamento Habitat (DPR 357 del 1997), il decreto “Linee guida” del Ministero dell’Ambiente del 3 settembre 2002 e il decreto del Ministero dell’Ambiente n. 184 del 2007, contenente le misure minime di conservazione per i siti della Rete Natura 2000.

Ciò, anche in attesa di avere una complessiva Strategia nazionale sulla Biodiversità , che potrebbe rappresentare il punto più avanzato del progetto generale di conservazione della natura e sulla quale il Ministero dell’Ambiente (con altri organismi, istituzionali e non), sta lavorando.